In allegato il rapporto OMI 2023 sui dati del mercato delle abitazioni riferiti al 2022. Il rapporto segnala innanzitutto una crescita del numero delle compravendite rispetto all’anno 2021 (+ 4,7%) che conferma il trend positivo iniziato nel 2014 e che era stato interrotto soltanto da una flessione registrata nell’anno della pandemia. Il fatturato per l’anno 2022 è di circa 123 miliardi con un incremento del 4% rispetto all’anno precedente. Quasi la metà delle abitazioni (46%) sono state acquistate tramite mutuo ipotecario con finanziamento medio di circa 138.000 € (+2% rispetto all’anno precedente) ed un aumento del tasso medio di interesse che ha raggiunto il 2,5%. In lieve aumento anche la durata media dei mutui (24,8 anni) mentre la rata media mensile è pari a 623 €. Rispetto invece alle locazioni si registra innanzitutto un calo dei contratti registrati che nel settore residenziale è pari al 2,1% mentre raggiunge il 3% per l’uso non abitativo. Premesso che i dati statistici riportati riguardano unicamente gli immobili locati per intero, l’ammontare complessivo dei canoni corrisponde a 5,5 miliardi di €. Rispetto ai segmenti di mercato si segnala una contrazione dei contratti di lunga durata (-4,1% per il canone libero e -1,5% per i contratti agevolati con durata di 3 anni più 2) a cui corrisponde un incremento dei contratti per studenti universitari (+3,2%) e dei c.d. “contratti transitori” (+0,6%). Quest’ultima categoria va analizzata con i piedi di piombo essendo definita nel rapporto come quella dei contratti con durata da 1 a 18 mesi. È chiaro quindi che, poiché la statistica non considera i contratti transitori di durata inferiore all’anno, questo segmento di mercato è più ampio di quanto riportato. Ed è chiaro anche che si tratta di una statistica particolarmente opaca nel senso che, raccogliendo tutti i contratti non rientranti nelle altre tre tipologie contrattuali che sono ben definite, non è sovrapponibile tout court ai contratti transitori previsti dagli accordi territoriali. Detto questo appare evidente che cresce pericolosamente l’opzione dei locatori verso tipologie contrattuali più remunerative e senza grossi vincoli di durata. Non a caso il canone annuo risulta in crescita del 7,6% per i c.d. “contratti transitori” e del 6,4% per i contratti concordati per studenti mentre nel caso dei contratti concordati di 3 anni più 2 la crescita è soltanto dello 0,8% mentre per i liberi si registra una riduzione speculare dello 0,8%. Nel caso specifico dei comuni ad Alta Tensione Abitativa il canone medio di questi c.d. “contratti transitori” (89,5 €/mq.) è addirittura superiore a quello del contratto libero (88,9 €/mq.) e quindi evidentemente spesso non si tratta dei contratti transitori previsti dagli accordi (e forse anche non tutti gli accordi sono stati rivisti eliminando le premialità per il calcolo del massimale di canone, premialità che fra l’altro erano già di per sé discutibili prima dell’estensione della cedolare secca al 10% anche per questa tipologia contrattuale). Ma anche il canone medio dei contratti universitari stipulati nei comuni ATA (83,5 €/mq.) si discosta pericolosamente da quello medio dei contratti agevolati (75 €/mq.). Guardando poi ai dati specifici riferiti alle 8 maggiori città emergono chiaramente altre anomalie che evocano la necessità di rendere la contrattazione più efficace e coerente su tutto il territorio. Certamente esistono tanti fattori che possono imbrigliare l’azione sindacale del Sicet ma è chiaro anche che occorre insistere per fare in modo che la contrattazione produca maggiori benefici per gli inquilini.

RAPPORTO IMMOBILIARE 2023