In allegato l’ultimo report dell’ISTAT sull’andamento della povertà in Italia. Per l’anno 2023 vengono stimate in povertà assoluta 2.217.200 di famiglie che corrispondono a quasi 5,7 milioni di persone vale a dire il 9,7% del totale dei residenti. Valori simili all’anno precedente quando le famiglie in povertà assoluta erano stimate in 2.187.000. Una stabilità che viene spiegata dall’Istat come il risultato di una compensazione fra fattori positivi, come l’andamento positivo del mercato del lavoro e i bonus sociali per l’energia, ed elementi negativi, in primo luogo l’impatto negativo dell’inflazione. Ma all’interno di questo quadro generale apparentemente stabile emerge un pesante aggravamento della povertà nel caso specifico di alcuni segmenti sociali. In particolare oltre il 46% delle famiglie in povertà assoluta vive in affitto nonostante le famiglie residenti in affitto corrispondono soltanto al 18,1% del totale. Inoltre le famiglie in povertà assoluta che vivono in locazione sono aumentate di circa 48.500 unità passando dalle 983.400 del 2022 ad 1.031.900 del 2023. Un aumento compensato dalla contemporanea riduzione delle famiglie in povertà assoluta che vivono in usufrutto o uso gratuito e di quelle in proprietà che sono circa 17.000 in meno rispetto al 2022. Numeri impietosi che dimostrano come il costo degli affitti costituisce sempre più un fattore determinante di impoverimento ed esclusione sociale. L’incidenza della povertà assoluta calcolata in base al titolo di godimento dell’abitazione (affitto, proprietà, usufrutto o uso gratuito) aumenta poi sistematicamente nel caso delle famiglie con minori e ancora di più in quelle con stranieri, raggiungendo ovviamente i picchi più elevati nel caso delle famiglie in affitto. Per l’esattezza l’incidenza della povertà assoluta rispetto al totale delle famiglie che vivono in affitto passa dal 21% al 31% nel caso in cui siano presenti minori mentre raggiunge il 37% nelle famiglie con stranieri. Come avevamo previsto da diverso tempo la liberalizzazione del mercato della locazione sancita dalla legge 431 del 1998 ha prodotto un continuo rialzo dei valori immobiliari rendendo il costo dell’abitazione ampiamente insostenibile per tante famiglie in affitto che scivolano progressivamente verso l’area della povertà. Un quadro recentemente aggravato dal boom delle locazioni turistiche con conseguente riduzione dell’offerta per l’uso abitativo e rialzo dei prezzi nelle città d’arte. Il mancato ampliamento del patrimonio di edilizia residenziale pubblica e il puntuale recupero di quello sfitto da riassegnare, che erano indispensabili per ammortizzare la crescente domanda di abitazioni per i ceti più poveri, ha peggiorato ancora di più la situazione. E tuttavia prosegue il vuoto di politiche abitative che ha contrassegnato gli ultimi 25 anni ed anzi con ogni probabilità verranno tagliati per il terzo anno consecutivo i fondi per il sostegno affitto e la morosità incolpevole che servirebbero per contenere una nuova impennata del fenomeno degli sfratti. In continuità con i precedenti governi le risorse pubbliche per i programmi di edilizia pubblica paiono invece destinate alla realizzazione di un piano di housing sociale che, oltre a costituire una risposta irrisoria rispetto ad una domanda enorme di abitazioni in affitto a canone sostenibile, mira a realizzare un’offerta incompatibile con la domanda proveniente dalle famiglie maggiormente disagiate. A fronte di questa deriva apparentemente inarrestabile come Sicet non possiamo far altro che continuare a insistere con le nostre ormai storiche rivendicazioni per una riforma della legge 431 del 1998 tesa a valorizzare e a diffondere i contratti di locazione a canone concordato e per un immediato rilancio del comparto ERP attraverso finanziamenti certi e strutturali.
Istat – report povertà anno 2023